Cambiare paradigma epistemologico per conoscere la malattia: unire all’esame dei fatti le narrazioni dei pazienti, dei familiari e degli operatori della salute. Medicina narrativa e pratiche di narrazione in medicina sono state al centro dell’evento organizzato giovedì 11 luglio a Roma da Broking & Consulting Communication. Durante la serata sono stati illustrati diversi esempi che mostrano l’utilizzo del racconto come strumento di ricerca e intervento, di pratica clinica e di formazione.

 

Medicina narrativa: oltre la relazione medico-paziente

La relazione non è un problema deontologico, ma epistemologico, cioè cambiare il modo di conoscere la malattia. I medici non sono disumani ma semplicemente sono coerenti con il modo di conoscere che l’università ha loro insegnato. Se tutta la conoscenza clinica si basa sull’osservazione oggettiva e obiettiva dei fatti, sulle evidenze scientifiche, sull’uso del metodo, a che serve una relazione con un soggetto? Se si tratta di conoscere un oggetto il soggetto diventa una complicazione.

Ivan Cavicchi

“La medicina narrativa pone al centro la relazione medico-paziente, entrambi autori di una narrazione che diventa condivisa e che deve comprendere anche i familiari e gli altri care givers” precisa Beatrice Lomaglio, responsabile comunicazione e formazione di Broking & Consulting Communication. Da un lato: “La narrazione deve essere accompagnata dall’adozione di una prospettiva sistemica che consenta un nuovo modo di porsi nei confronti della malattia”. Ma l’approccio della medicina narrativa non si ferma alla conoscenza: “L’obiettivo è promuovere un processo di trasformazione da parte del paziente, che acquista consapevolezza e quindi si assume delle responsabilità rispetto alle proprie scelte, ai propri comportamenti, ai propri stili di vita”.
La medicina narrativa può inoltre avere effetti benefici anche sugli operatori sanitari, consentendo di raggiungere obiettivi quali la prevenzione del burnout, il rafforzamento del team e la riduzione del rischio clinico e del rischio di contenzioso.

Le pratiche narrative come strumento di ricerca

Nel libro Vissuti di malattia e percorsi di cura Micol Bronzini, sociologa dell’Università Politecnica delle Marche, racconta un progetto di medicina narrativa che ha coinvolto i pazienti affetti da sclerosi multipla, i loro familiari, gli operatori sanitari e i volontari dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla.
La narrazione è stata utilizzata come strumento di ricerca per identificare i bisogni dei pazienti e progettare percorsi diagnostici e terapeutici che tenessero conto dei vissuti di chi è affetto da questa patologia.

Micol Bronzini, sociologa dell’Università Politecnica delle Marche

Dopo un percorso di formazione iniziale i professionisti sanitari sono stati coinvolti nella raccolta delle storie. È emersa così una prima criticità: “Le storie raccolte in ospedale, rispetto a quelle registrate al domicilio del paziente, erano molto più brevi, frammentate e, soprattutto, focalizzate sulla malattia” spiega Bronzini. “Il paziente partiva dai farmaci e dagli interventi subiti, aveva difficoltà a cambiare paradigma e capire che l’operatore sanitario gli stava chiedendo di raccontare il proprio percorso di vita”.
Una difficoltà che ha permesso però a medici e infermieri di acquisire una nuova consapevolezza: “Proprio i clinici ci hanno detto ‘Ci siamo accorti che la storia clinica è solo una piccola parte di una storia complessiva’” rivela Bronzini.

Dalle narrazioni dei pazienti e dei loro familiari arrivano inoltre delle vere e proprie indicazioni operative per i professionisti sanitari rispetto ai bisogni di cura: “Emerge chiaramente l’esigenza di un percorso di educazione terapeutica, un accompagnamento da parte dei professionisti sul vivere l’esperienza della malattia a 360 gradi”. Significativo in questo senso è il racconto che il marito di una paziente ha fatto alla neurologa che l’aveva in cura, di cui Micol Bronzini ha letto un estratto.

Ecco forse riunirli un po’ tra loro, far parlare un po’ tra loro. Non lo so. Questa è una cosa che vi dico. Perché lei – sta parlando della moglie – non parla con nessuno di questo. […] Se invece fosse possibile parlare con loro un giorno quando stanno tutti bene, anche al di fuori della struttura dell’ospedale […] al di là un attimo solo del discorso del curare. […] Dirgli come cucinare. Perché se uno non ha nessuno come affrontare i problemi di casa. Chi ha un bambino, chi ha un marito con un bambino piccolo, che il marito può non può, se pensa al lavoro, come comportarsi. Un attimo queste cose giornaliere dico io.

La medicina narrativa come strumento di pratica clinica

 

Usare le storie per rappresentare il vissuto delle persone affette da malattie infiammatorie croniche intestinali è l’obiettivo del laboratorio Non Aspettando Godot, promosso da Michele Palazzetti, formatore e coach: “Le persone che soffrono di queste malattie sono fondamentalmente in attesa. In attesa di sapere molte cose. Quando ho iniziato a incontrarle c’era un atteggiamento che grosso modo era sintetizzabile in: è inutile che io ti racconti, non puoi capire. Così ho iniziato a proporre loro piccoli stimoli di narrazione, inizi di storie. E via via scoprivamo che in fondo stavano parlando di sé”. Le voci dei pazienti sono state associate a immagini e inserite all’interno di uno spettacolo teatrale messo in scena da quattro attori. La narrazione così sviluppata ha permesso ai pazienti di proseguire l’elaborazione del proprio racconto, al pubblico di comprendere in modo più empatico le vicende narrate e ai clinici di riconoscere i limiti della propria visione. “Credo che ascoltare la voce dei pazienti possa e debba significare molto di più rispetto ad ascoltarne le parole” è la convinzione di Palazzetti.

 

Ridurre il divario di significati tra osservazione, vissuto e narrazione della malattia per ampliare le basi diagnostico-terapeutiche e sviluppare i concetti del prendersi cura e della personalizzazione delle cure stesse. Sono gli obiettivi dell’ambulatorio di medicina narrativa di Rieti, il primo in Italia. Coordinato dallo psicologo Umberto Carraccia e composto da un’equipe multidisciplinare, l’ambulatorio si rivolge a pazienti con cronicità e pazienti fragili. Da settembre 2018 ad oggi ha accolto circa 80 narrazioni di malattia, favorendo l’aderenza al piano di trattamento, la gestione consapevole della malattia e rendendo le cure più efficaci ed appropriate.

La medicina narrativa come strumento di formazione

Secondo uno studio realizzato al Jefferson Medical College di Philadelphia gli studenti di medicina al terzo anno vivono un calo dell’empatia, che coincide con il momento in cui iniziano a frequentare i pazienti. Emerge quindi l’importanza di valorizzare la medicina narrativa per la formazione di tutti gli operatori sanitari, come sottolinea Marco Testa, cardiologo dell’azienda ospedaliero universitaria Sant’Andrea e consigliere della Società italiana di medicina narrativa. Nasce così il corso di medicina narrativa organizzato dal Sant’Andrea alla facoltà di medicina e psicologia della Sapienza di Roma e giunto alla seconda edizione.

Marco Testa, cardiologo dell’azienda ospedaliero universitaria Sant’Andrea e consigliere della Società italiana di medicina narrativa

Partecipare a progetti di medicina narrativa può inoltre rappresentare un momento di formazione per gli operatori sanitari. Il progetto TRUST, promosso dalla fondazione Istud con la partecipazione dell’ospedale Sant’Andrea, ha indagato il tema dello scompenso cardiaco attraverso le narrazioni di pazienti, familiari e medici. I medici coinvolti hanno spiegato che attraverso la raccolta delle storie hanno imparato l’importanza di accettare la malattia e saperla gestire e l’importanza di instaurare una buona comunicazione con il paziente.

Potenzialità e sfide della medicina narrativa

Quali sono le potenzialità e gli ostacoli nell’uso della medicina narrativa? Per Ilaria Micacchi, Direttore generale Health Care Italia Roma e Rome American Hospital, la medicina narrativa risponde all’esigenza crescente di garantire la personalizzazione delle cure: “Potrebbe sembrare una dicotomia, ma in realtà se da una parte c’è l’iperspecializzazione e l’ipertecnologia, dall’altra parte c’è l’umanizzazione delle cure e l’importanza di mettere la persona al centro. E la chiave è la narrazione”.

 

“La medicina narrativa permette di creare un progetto di terapia condiviso in cui il paziente si sente parte attiva” spiega Maurizio Tralcini, Segretario Fondazione Health Care and Research Onlus “E quando il paziente si sente parte attiva risponde meglio alle terapie”.

 

Per Giorgio Banchieri, docente Luiss Business School e Sapienza Università di Roma, il rapporto tra cura e narrazione dipenderà dalle risorse disponibili e dai tempi garantiti ai professionisti sanitari affinché possano elaborare un’anamnesi completa: “Se questi tempi ci saranno potrà esserci uno sviluppo ulteriore della medicina narrativa. Se questi tempi non ci saranno tutto verrà compresso e si perderà una logica unitaria di attenzione al paziente”.

 

Patrizia Serenella, Direttore responsabile formazione Event Lab, evidenzia il ruolo che la medicina narrativa può avere nella formazione in ambito sanitario: “Storytelling e visual storytelling possono apportare un’innovazione importante, soprattutto quando è necessario raccontare in aula dei casi clinici”. La difficoltà maggiore nel proporre percorsi di formazione innovativi, spiega Serenella, è conciliarli con le regole dettate dal Ministero: “Sono limiti che si possono superare senza problemi, prevedendo un programma più ricco che includa formule classiche e altre più moderne”.

Le foto della serata